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Londra, autunno 1561
Fu all’inizio di settembre che iniziò il processo, dopo diversi rinvii. Tutta Londra venne a vedere l’uomo che per nove giorni era stato il cognato della regina e che ora doveva subire un processo e morire.
Entrò in aula con grande dignità, che per molti non era altro che arroganza. Aveva il volto scavato e la barba, ma sovrastava tutti per il portamento.
<<dov’è il Re?>> chiese, solo in mezzo all’aula del tribunale. <<il re è presente>> disse il giudice, indicando un trono su cui erano poste la corona e lo scettro d’Inghilterra. Lord Robert abbassò il capo, capiva che per lui non c’era più nulla da fare.
L’interrogatorio iniziò subito e fu serratissimo; chiesero della carriera, della famiglia. E qui partì la prima accusa: quella di alto tradimento. Lord Robert si difese dicendo che quello che aveva fatto allora non era un tradimento, ma invano. Poi si parlò di Calais, e la difesa di Lord Robert cadde; aveva perso la città o l’aveva venduta ai francesi? Lui negò con decisione, ma i giudici non lo ascoltarono. Aggiornarono il processo all’indomani e diedero ordini che il prigioniero tornasse alla Torre.
Quella sera, all’uscita dalla cappella reale ricevetti un biglietto. Era di mia madre e mi diceva di tornare a casa.
Avvisai Bessie che non sarei stata presente per il banchetto serale. <<fortunata te! Sono da compiangere, mi hanno detto di servire don Carlos. Lo odio, ti guarda con certi occhi, che sembra sul punto di ucciderti per nulla. Dai retta a me Jenny, quel ragazzo è totalmente pazzo>>. In effetti don Carlos era strano: a renderlo strano contribuivano il suo aspetto ripugnante e i suoi occhi. Rassicurai Bessie e mi avviai.
All’epoca mia madre viveva in una casa vicino la cattedrale di Saint-Paul.
Chissà per quale motivo mi chiamava, erano tre settimane che non lasciavo la Corte, doveva essere qualcosa d’importante.
Arrivai in tempo per la cena. Quel giorno a casa erano riuniti mia madre Mary, mio fratello Henry, mia sorella Hanna, divenuta suora domenicana, e il mio fratello minore, di soli otto anni William. Gli sorrisi, era quello con cui mi trovavo più a mio agio, così diverso dalla religiosità bigotta di Hanna e dalla spocchia di Henry.
Ci sedemmo tutti a tavola e mangiammo il pollo che mia madre comprava per le grandi occasioni.
Finito mentre stavamo per alzarci mia madre disse: <<henry caro, ti ho trovato una moglie>> E così Henry si sarebbe sposato, ecco la grande notizia, basta risse, basta sbronze nelle bettole, Henry si sarebbe dovuto dare una calmata. <<e chi sarebbe?>> chiese lui, sfoderando la sua solita aria da bambino viziato. <<si chiama Joan Thierry, viene da Calais, e suo padre è medico della famiglia del rettore dell’Università. Sua madre è la figlia di un mercante. Joan ha un’ottima dote e mi dicono sia una ragazza assennata. Il fidanzamento sarà fra un mese e il matrimonio fra tre. E voglio che voi due siate presenti>> affermò, guardando me e Hanna. Annuimmo, tutti e quattro, la volontà di mia madre era legge in casa da quando nostro padre era morto.
La notte verso le dieci, salutati i miei fratelli e mia sorella mi avviai verso la Corte, ormai da sei anni vivevo lì. Mentre tornavo ripensavo al matrimonio di Henry: sapevo che dopo di lui sarebbe stato il mio turno. Mia madre aveva destinato alla Chiesa Hanna, la maggiore, per risparmiare sulla dote, concedersi un posto in cielo e per non dover mantenere una figlia. All’età di sedici anni, Hanna avevo preso il velo. Mentre Henry era stato avviato ad una carriera di avvocato, in modo da poter garantire un’ascesa sociale alla nostra famiglia.
Io invece all’iniziò sarei dovuta andare a servizio, poi mia madre aveva sentito che la migliore scuola per ragazze era la corte, e che quando qualcuna, da una gran dama ad una serva, si sposava il sovrano doveva pagarle una dote. Così mossa dall’avidità mi aveva mandato alla corte della cattolica regina Maria.
Mentre entravo a Hampton Court mi parve di vedere due figure che parlottavano. Indossavano dei cappucci neri e si muovevano velocemente. Provai la tentazione di restare, ma sentì il coprifuoco, dovevo tornare.
Nel letto che dividevo con Bessie mi addormentai, domani sarebbe stata una giornata interessante.
E lo fu. La commissione non era più composta soltanto dai giudici: il re padre aveva portato con sé l’Inquisizione!
Lord Robert non sapeva nulla dei loro metodi subdoli, per questo in nemmeno tre ore si riconobbe traditore, peccatore ed intrigante. Quello che i tribunali inglesi cercavano di ottenere da tre anni il tribunale dal Santo uffizio l’aveva ottenuto in appena tre ore!
Aggiornarono la seduta all’indomani, anche se restava solo da leggere la sentenza.
Nel pomeriggio io e Bessie pulimmo il pavimento, aiutate dalla vecchia Madge, che ci assordava raccontandoci di quando era giovane, e di come avesse servito otto regine, mentre voi piccole care, ci chiamava così, ne avete servita solo una e lei era una santa. Dopo mezz’ora ci alternavamo per andare a riempire d’acqua il secchio, tutto pur di non sentirla cianciare.
Fu allora che lo vidi: alto, moro, con i capelli lunghi, vestito alla spagnola, bellissimo. Era con un suo amico. Questi era l’esatto contrario, biondo, occhi chiari, più basso. Il moro si rivolse a me: <<desculpe, sapete dirci se il re Filippo es aquì?>> <<il vostro Re o il nostro?>> chiesi, era una domanda legittima. <<el nuesto rey>> mi rispose lui. <<il re padre è nel salone delle udienze>> risposi. <<gracias. Ah, me llamo Juliàn de la Fuenta>> disse , allontanandosi con il suo amico.
Juliàn , pensai, com’era bello; di sicuro faceva parte del seguito del re padre, si, forse lo stava cercando per un motivo. Quale fosse non l’avrei saputo quel giorno perché avvertì l’acqua sul mio abito, l’acqua era traboccata dal secchio e stava bagnando il pavimento.
Tornai lievemente in ritardo, facendo irritare Bessie che non sopportava più la vecchia Madge. Le avrei parlato di Juliàn più tardi mi ripromisi.
Le parlai da sola solo la notte, nel letto dove ci scambiavamo le confidenze. Fu felice di sapere questo e mi chiese informazioni sull’amico di Juliàn, che la incuriosiva. Glielo descrissi meglio che potevo, poi mi addormentai.
Ero di nuovo in tribunale la mattina seguente, per ascoltare la condanna.
Fu terribile: fu privato di tutti i suoi beni, e venne condannato a morte. L’Inquisizione gli garantì salva la vita se si fosse convertito al Cattolicesimo. Lui obbedì, ma allora fu il turno del tribunale del Re. Il giudice lesse a sua volta la sentenza: morte. Sarebbe morto il giorno seguente, nel parco della Torre, decapitato con l’ascia. Anche se per il giudice meritava il cappio, come un plebeo qualsiasi.
Nel pomeriggio andammo tutte tre, io Bessie e la vecchia Madge al mercato. Nonostante i suoi cinquantasei anni Madge adorava il mercato perché lì poteva esercitare la sua attività preferita: contrattare sul prezzo.
Mentre lei contrattava il prezzo del pesce e io compravo della verdura avvertì Bessie che mi stava dando dei colpetti sulla spalla. <<cosa c’è?>> <<guarda là>> si limitò a dire. Spalancai gli occhi: Madge aveva interrotto la contrattazione! Stava parlando con un vecchio saraceno, i suoi capelli bianchi contrastavano con la sua pelle scura come la notte. Ci avvicinammo per origliare. <<davvero Rashid ab Obab? Non ci posso credere! Finalmente, dopo tanti anni>> Qualunque cosa fosse doveva essere lieta, erano troppo felici. <<finalmente potrò, si, dopo trentacinque anni sono vedovo e noi siamo liberi di amarci>> Amore, Madge era innamorata di un moro! <<si, ma il matrimonio no, non sono pronta per rinnegare la mia fede per amore>>. <<nemmeno io, ma finalmente non ci sarà più Aicha che ci sorveglia. Ora devo andare. I miei figli mi aspettano>> <<vai, ti aspetterò>> fu il saluto di Madge. Rustaf si chinò e la baciò. E così anche la vecchia Madge aveva un cuore, riflettevo mentre tornavamo verso Hampton Court.
La sera ci fu un banchetto solenne, preceduto da un Te Deum, questo solo perché un uomo sarebbe morto. Mentre portavo in tavola una quaglia mi resi conto che don Carlos fissava con insistenza un uomo, il marchese di Posa. Il marchese non mi piaceva, ma non potevo negare che non fosse brutto.
Cercai con lo sguardo Juliàn, ebbi fortuna, lo trovai seduto ad un tavolo, insieme ad altri spagnoli, stava parlando con gli altri nello loro strana e melodiosa lingua.
La mattina andammo tutte alla Torre per poter assistere all’esecuzione di lord Robert Dudley.
Avanzò con grazia e dignità, come se fosse un re.
Solo quando mise la testa sul ceppo tremò , ma fu questione di un secondo.
Il boia alzò l’ascia e … . Non riuscì a distogliere lo sguardo, come fece Bessie, volevo vedere. Sapevo che sarebbe stato orribile, che il rumore di quell’ascia che calava mi avrebbe ossessionata nei miei sogni, ma volevo vedere. Fu breve, bastò un solo colpo. Il boia mostrò in alto la testa, mentre delle vecchie streghe si avvicinavano con i fazzoletti per raccogliere il sangue che colava.
Tornammo verso le dieci, dopo che c’eravamo fermate per permettere a Bessie di rimettere in santa pace, la testa di lord Robert l’aveva sconvolta. Costeggiammo il fiume fino a Westminster, dove in quel momento risiedeva la corte.
Mentre entravamo vedemmo don Carlos. Era tornato da una cavalcata, insieme al suo amico, il marchese di Posa. C’era qualcosa nei loro atteggiamenti, non so, di ambiguo. Era ambiguo il loro modo di sorridersi, così colmo di intimità, era ambiguo il modo in cui camminavano, troppo vicini. Saremmo rimasti ad osservarli per ore se il giardiniere, George, non ci avesse chiamato, la vecchia Madge ci cercava.
Corremmo verso di lei.
<<bessie, porta questo a lady Mary Grey, che li ha richiesti>> disse porgendole un cesto dentro il quale vi erano dei nastri colorati. <<jenny, porta questo libro a Sua Maestà>> disse porgendomi un libro.
Ci avviammo. Ero circa a metà percorso quando sentì due voci ansimare. Curiosai, pensando a una dama e un paggio. Grande fu la mia sorpresa nel vedere don Carlos ed il marchese di Posa. I due erano stretti in un abbraccio travolgente e si baciavano con ardore. Sarebbe potuto esplodere Westminster e non se ne sarebbero accorti. Il marchese infilò la sua mano nei calzoni di don Carlos, che iniziò a gemere ed ansimare come una volgare sgualdrina. Distolsi lo sguardo, l’avrei raccontato a Bessie dopo.
Li superai ed entrai in una stanza. Sua maestà il re Filippo I era seduto su una sedia ed ascoltava, mentre sua sorella ripeteva alcune parole in francese. Guardai il loro insegnante e trasalì: era Juliàn.
<<mi scusi se interrompo la lezione, ma devo consegnare questo a Sua Maestà>> dissi inchinandomi, in risposta al suo sguardo indagatore.
<<tranquilla, non abbiamo ancora iniziato, aspettiamo Sua Altezza Reale il principe delle Asturie, don Carlos>> mi rispose Juliàn, sorridendomi. Mentre consegnavo il libro al Re la porta si aprì di colpo e don Carlos apparve.
Sorrise ai fratellastri e si sedette al suo posto. Me ne andai, non prima di aver sorriso e Juliàn e di averlo visto sorridermi.
Quella notte, verso le dieci parlai a Bessie. <<sai cosa ho visto?>> <<cosa?>> mi chiese curiosa. <<ho visto don Carlos e il marchese di Posa che si baciavano>>. <<mio Dio! Sai che è peccato?>> <<lo so, ma c’era qualcosa che in quel momento me l’ha fatto dimenticare, non so, erano così coinvolti, sembravano due innamorati, sembravano felici, si, felici>> replicai, tentando una difesa dei due. <<non importa, è un peccato orribile, ti rendi conto? E li difendi pure!>> sbottò Bessie, girandosi dall’altra parte ed addormentarsi.
Quella notte feci un sogno: era la stessa scena che avevo visto in mattinata, solo che al posto di don Carlos c’ero io e al posto del marchese c’era Juliàn , poi come se fosse un masque i ruoli cambiavano e con gli occhi di don Carlos osservavo la mano del marchese di Posa scendere oltre il mio ventre. Non era il mio corpo, ma quello dell’Infante, e lo pregavo con la sua voce di continuare, di non fermarsi mai.
***